Quando arriva un bebè

“Loyd, l’ingresso è pieno di paure orribili e responsabilità ingombranti”
“Le ha portate al suo arrivo il signorino, sir”
“I bambini dovrebbero portare gioia, allegria e serenità…”
“Solo nell’opinione di chi non ci vive insieme, sir”
“E allora perché dovremmo essere felici per il suo arrivo?”
“Per quello che ci aiuterà a costruire, sir”
“Una casa grande?”
“Una persona all’altezza, sir”

Simone Tempia, vita con Loyd

Quando si aspetta un bambino, un bambino desiderato, magari persino progettato, si fantastica sul suo arrivo. Ci si immagina come sarà la creatura e come si sarà nel ruolo di genitori.

Si sa di essere di fronte a un grande cambiamento e a una grande responsabilità.

Per cercare di sentirsi pronti, spesso ci si butta nella preparazione del nido che accoglierà il piccolo: si sistema la cameretta, si acquistano i prodotti necessari, qualcuno fa le scorte di cibi in freezer, pronti per essere scaldati e consumati perché chi ci è già passato avverte che, dopo, il tempo a disposizione per sé sarà poco, persino per mangiare.

Si cerca di prevedere il momento in cui la famiglia si ingrandirà e lo si idealizza, come è normale che sia quando ci si trova di fronte allo sconosciuto e a ciò che non si è mai provato, ma che si è tanto voluto.

La paura di non sapere

Ma la verità è che non si può fare i conti senza l’oste.
Non si può sapere che cos’è una notte che non è più di stacco e di riposo, ma un alternarsi di poppate, vomitini, pianti, giretti per la casa e ninne nanne che si pensavano morte e sepolte e invece fanno capolino dai meandri della mente e del cuore.
Non si può sapere che sforzo richieda addormentare un cucciolo d’uomo e tentare di metterlo a dormire nella sua culla e poi nel suo lettino.

Non si può sapere che angosce e, a volte, che rabbie suscitino quei pianti inconsolabili che forse sono le colichette, forse ha fame, forse ha sonno, forse non riesce a fare la cacca, forse si è spaventato, forse c’è troppo rumore, forse c’è troppo silenzio
O forse è solo un bambino alle prese con i suoi primi tempi di vita e forse si tratta di un adulto alle prese con i suoi primi tempi da genitore.

Una nuova nascita

Quando nasce un bambino nasce anche un genitore.

Peraltro accade ogni volta che si ha un figlio, perché ogni figlio è diverso e con ognuno si instaura una relazione che ha caratteristiche uniche e irripetibili, come unica e irripetibile è l’individualità di ogni essere umano.

Spesso i futuri e i neo genitori acquistano libri e fanno corsi per prepararsi al loro nuovo ruolo, cercando una comprensibile e condivisibile rassicurazione, una spiegazione di ciò che accadrà, nella razionalità della conoscenza e del sapere.

Anche se questo approccio è importante, credo non basti: perché la nascita di un figlio è un fatto innanzitutto emotivo, capace di smuovere le viscere, sia materne sia paterne.

Scoprire e costruire una nuova parte di sé

È un cambio di identità o, per meglio dire, è la costruzione di una nuova parte di sé che certamente prende forma dalle esperienze pregresse, dalla storia personale, dal momento di vita attuale, ma non solo.

È un cambiamento che attiva un ruolo nuovo da interpretare e agire, e apre la mente a pensieri mai pensati prima.

Per quanto desiderato, generare un figlio è sconvolgente: fa scoprire parti di sé sconosciute, fa provare emozioni e vissuti mai sentiti prima, tira fuori fragilità e risorse che non si sapeva di avere dentro di sé.

Come scrivo nella sezione del mio sito dedicata alla psicologia perinatale, diventare genitori implica un cambio di ruoli, di vita sociale, di abitudini quotidiane, di equilibri di coppia. Significa abbandonare per qualche tempo l’essere adulto e pienamente autonomo e tornare ad avere bisogno di aiuto dall’esterno, oltre che ad allinearsi con una mente piccola, neonata, richiedente ed esigente che si basa su sensazioni primitive e non ancora su pensieri.

Accompagnare la crescita di un figlio

Dalla nascita fino ai 4 anni di vita, i bambini evolvono sotto molteplici aspetti prima di arrivare all’acquisizione di pattern maturi e funzionali, che riguardano ad esempio l’alternanza sonno-veglia, il controllo completo degli sfinteri, lo svezzamento. E ciò fa sì che i bambini si rivelino completamente diversi dai loro genitori adulti nei tempi, nei ritmi, nelle esigenze. Questo può spiazzare inizialmente i neogenitori.

In un bel libro per bambini (a mio avviso anche per adulti) di Beatrice Alemagna intitolato “Che cos’è un bambino?”, c’è un passaggio che racconta queste differenze:

I bambini desiderano cose strane: avere le scarpe che brillano, mangiare zucchero filato a colazione, ascoltare la stessa storia tutte le sere.
Anche i grandi hanno idee strane in testa: farsi il bagno tutti i giorni, cucinare i fagiolini al burro, dormire senza il cane giallo. “Ma come si fa?” chiedono i bambini.
I bambini piangono perché un sasso è scivolato nell’acqua, perché lo shampoo pizzica gli occhi, perché hanno sonno, perché fa buio. Piangono forte, per farsi sentire bene. Per consolarli ci vogliono gli occhi gentili. E una lucina vicino al letto.
I grandi, invece, amano dormire al buio. Non piangono quasi mai, neppure se lo shampoo entra nel naso, e se capita, piangono piano. Tanto piano che i bambini non se ne accorgono. O fanno finta di non vedere niente.

Soddisfare i bisogni

I genitori, qualsiasi sia l’origine, l’età, la provenienza culturale o l’estrazione sociale, si trovano a dover soddisfare continui bisogni:

  • bisogni di accudimento (la pappa, la nanna, pipì e popò);
  • bisogni legati alla cura e all’affetto, quelli che creano l’attaccamento fra adulti e piccini;
  • bisogni legati alle emozioni, ancora molto grezze, che il bambino sente e che da solo non riesce a decifrare;
  • quelli legati alla costruzione, poco per volta, della capacità di trasformare le sensazioni in pensieri, avvalendosi inizialmente della mente dell’adulto per farlo.

I genitori hanno e sentono di avere una enorme responsabilità su quel “piccolo coso” che tengono fra le braccia: al contrario di molte specie animali, in cui i piccoli nascono già maturi per sopravvivere, il cucciolo d’uomo, se non riceve cure adeguate, muore.

Una grande responsabilità

E così i genitori sanno di avere un compito immenso, che non è solo quello della sopravvivenza, ma è anche quello di gettare le fondamenta della piccola persona che è nata e che un giorno crescerà fino ad essere adulta.

Per fare ciò, i genitori imparano a fare i conti con il dover fare un passo indietro rispetto a se stessi in favore del loro cucciolo: per un periodo faranno a meno di ore di sonno, mangeranno velocemente una mozzarella sul lavandino della cucina e rinunceranno (per un po’) a molte delle passioni che coltivavano.

Impareranno a programmare un’attività al giorno perché di più non è possibile e al contempo diventeranno abili a fare tutto con una mano sola, perché con l’altra terranno il loro piccolo in braccio.

Sceglieranno vacanze semplici in cui partire non più con la mappa dei locali di tendenza in tasca, ma con l’applicazione dei parchi giochi sul telefono.

È un cambio di identità.
È un cambio di socialità.
È un cambio di vita.

È mettere in gioco se stessi e le proprie capacità.
Per questo è così difficile a volte.

Per tutti questi motivi, e molti altri ancora, spesso i primi mesi di vita di un bambino sono complessi e mettono a dura prova sia il singolo genitore, sia la coppia genitoriale: perché passare dal 2 al 3 non è né immediato, né semplice, né scontato.

Serve tempo

Ci vuole un tempo, da affrontare con quanta più fiducia possibile.

Serve un tempo di elaborazione e di adattamento, in cui le parole chiave siano cooperazione e gioco di squadra, affinché la neomamma e il neopapà si aiutino a vicenda a vestire i loro nuovi panni, ammettendo di essere disorientati, limitando le critiche reciproche che nascono naturalmente in situazioni di forte stress, ma che spesso risultano distruttive.

È importante concedersi il tempo di affrontare insieme quel piccolo grande terremoto che è accogliere una nuova vita, accettando che buona parte delle aspettative che si avevano risultano irrealistiche, scoprendo che ci si può godere quei piccoli momenti di pace dopo una poppata, durante un sonnellino o nell’occasione di una passeggiata tutti assieme.

Tenendo sempre a mente che la fatica, il senso di inadeguatezza e il dubbio sono parte integrante dell’essere genitori e non vi è nulla di strano o sbagliato in questo. E trovando rassicurazione e conferma nei sorrisi innamorati del proprio cucciolo, nel piacere che si prova ad annusare l’odore della sua pelle, nella tenerezza che si sente a vedere quelle manine tese alla ricerca di un abbraccio. Non uno qualsiasi: il vostro.

 

Foto: Francesca Savino

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