Traguardi di autostima

Proviamo a immaginare la nostra reazione quando riceviamo un elogio, ad esempio: “Come stai bene oggi”.

Che cosa rispondiamo? Ringraziamo sorridendo o replichiamo qualcosa di simile a: “Oh, questo vestito è vecchissimo e devo andare dal parrucchiere!”

Siamo cioè capaci di accogliere e credere che il complimento che riceviamo sia fondato su una verità o sminuiamo il suo significato, perché sentiamo di non meritarcelo o riteniamo che l’altra persona ci stia compiacendo?

L’autostima o stima di sé corrisponde al senso che si ha del proprio valore e si basa sul livello di apprezzamento che attribuiamo a noi stessi, alle nostre capacità, qualità e sentimenti. È l’opinione che abbiamo di noi stessi. Fa parte della vita emotiva della persona e essa può differire in modo significativo da un individuo all’altro.

È un aspetto molto importante dell’essere umano perché fa la differenza fra il senso di benessere e di malessere: tanto più ci sentiamo validi e capaci infatti, tanto meno tenderemo a soffrire di paure e tendenze autodistruttive. Tanto meno ci sentiamo importanti, tanto più ci faremo sfruttare e a volte persino maltrattare.

Per questo motivo è importante occuparsi della propria autostima e implementarla nel caso sia bassa: ne va della propria felicità

La nascita dell’autostima

Il senso di autostima di una persona ha origine nella relazione con le principali figure di attaccamento dell’infanzia e dal processo di rispecchiamento avvenuto con esse.

Proviamo a immaginare un episodio in cui un bambino mostri un vasetto di terra che ha raccolto e a cui è interessato ai genitori, dai quali riceve un rimando di attenzione e curiosità, come ad esempio: “Ma che bello, certo che hai fatto un lavoro importante: ti ho visto ed eri tutto concentrato”. Il genitore starà in quel momento sostenendo l’attività e l’interesse del bambino che si sentirà sia visto sia guardato e per questo importante. 

Se al contrario la risposta che egli riceve è: “Guarda che mani zozze che hai! Ti sembra che dovevi fare sto pasticcio? Non mi posso distrarre un attimo che ne combini una!” Allora il bambino non si sentirà riconosciuto e non sentirà riconosciuta la sua propensione, penserà di aver fatto qualcosa di brutto e di essere sbagliato.

Tante volte in seduta ascolto storie di riconoscimenti mancati e intenzioni fraintese, episodi che possono sembrare piccoli all’apparenza, eppure che permangono nella memoria anche a distanza di molti anni, episodi che hanno segnato la persona che li ha vissuti.

Ricordo una paziente che in terapia raccontava di non aver mai ricevuto un dono, un festeggiamento, una torta per il giorno del suo compleanno: non c’era tempo, c’era da lavorare e i soldi erano sempre troppo pochi. Quella bambina, diventata donna, raccontava che non avrebbe desiderato che i suoi genitori spendessero molto denaro per festeggiarla, bensì che si ricordassero di lei, della sua nascita e, in una certa misura, della sua esistenza. 

Storie come questa sono spesso alla base di insicurezze, fragilità e percezioni di sé all’insegna della scarsa autostima: ce le si trascina dietro e diventano blocchi per la propria evoluzione e per la propria realizzazione.

La valutazione della propria autostima

Ma il passato è passato e come dico spesso ai miei pazienti, non lo possiamo cambiare: in esso ci sono le nostre radici, la nostra storia e ciò che siamo oggi è il frutto di quel passato che non è da buttare via in toto. Tuttavia quello su cui possiamo lavorare è il presente, che dà la possibilità di cambiare il futuro e costruirlo alla propria maniera.

Una prima cosa che si può fare per attivare un processo di cambiamento e di evoluzione è quella di riflettere sui livelli della propria autostima e capire se questa è alta o bassa e in che misura.

Proviamo ad esempio a rispondere ad alcune domande:

  • Vedo la mia immagine riflessa in una vetrina. Che effetto mi fa?
  • Come reagisco quando trovo foto o video che mi ritraggono?
  • Mi piace la mia voce quando ne sento la registrazione?
  • Qual è la mia reazione di fronte a una sfida? La accetto e ci provo o sopraggiungono dei pensieri di fallimento a priori?
  • Come valuto la mia competenza in campo professionale?
  • Mi sento un/a buon/a figlio/a, madre, padre, partner?
  • Mi piace il mio modo di camminare e la mia postura? Che rapporto ho con la mia fisicità?

L’elenco fatto contiene domande che abbracciano ambiti differenti della nostra esistenza. Questo ci dice che vi sono molteplici tipi di autostima.

L’autostima emotiva riguarda l’amore che proviamo per noi stessi, l’accettazione o al contrario il rifiuto di sé: quanto sono in grado di pensare al mio bene, al prendermi cura di me e dei miei bisogni, sentendoli leciti?

L’autostima sociale ha a che fare con i rapporti con gli altri: quanto mi sento sicuro ad entrare in un locale pubblico, a parlare con altre persone, a condividere le mie opinioni in merito ad un argomento? E che rapporto ho con le critiche? Le accetto e le percepisco come uno spunto su cui riflettere e un’occasione di crescita o hanno al contrario un potere distruttivo sulla mia persona e perciò o le rifiuto o mi mandano in pezzi?

L’autostima legata a una prova è quella che si riflette nel modo che abbiamo di approcciarci a un’attività o a un compito nuovo da svolgere: fare l’orto, imbiancare una parete, riparare un rubinetto, cucire un bottone costituiscono piccole prove quotidiane ed è interessante scoprire come le affrontiamo. Chissà se vogliamo risolvere subito le difficoltà, portare immediatamente a termine il compito in maniera perfetta o se invece ci concediamo di non sapere come si fa, di chiedere una mano, di guardare un tutorial e in definitiva di non avere un’aspettativa illusoria di efficacia immediata e totale.

Infine l’autostima abbraccia anche la corporeità: che rapporto ho con il mio fisico sia dal punto di vista estetico sia della sua prestanza? La mia attenzione si focalizza sui difetti del mio corpo e del mio viso o sulle parti che mi piacciono? Mi sento in forze, in salute e prestante dal punto di vista fisico o ho la percezione di essere debole e di non farcela?

Queste sono tante domande a cui provare a rispondere, che possono aiutare a capire che vi sono aree della nostra vita in cui abbiamo un’autostima sufficiente e altre nelle quali è da implementare o al contrario da ridimensionare un po’.

Cambiare

Dicevamo che ciò che è stato finora non si può modificare. Se si ritiene di aver avuto esperienze non sempre facili e piacevoli e che questo abbia influito sui propri livelli di autostima, la prima cosa da fare è quella di congratularsi con se stessi per come si sono affrontate le tempeste della vita e tenere a mente che si è sopravvissuti. 

Va poi considerato che non tutti nasciamo con le stesse carte in mano: così come vi sono persone che nascono dalla parte “fortunata” del mondo che non conosce fame, sete, guerre e siccità, così esistono persone che sono nate in famiglie in cui si ride e a tavola si chiacchiera tutti insieme e altre cresciute in contesti familiari caratterizzati da tensioni costanti, malumori, musi lunghi. La crescita in ambienti diversi, come abbiamo visto più sopra, può fare la differenza sul proprio senso di autostima.

Ricordo un paziente che, abituato a essere rimproverato e raramente elogiato, pur essendo un ragazzo in gamba, studente lavoratore, attento alla famiglia e agli affetti, ogni volta che prendeva un 30 agli esami non era capace di gioirne: pensava di essere stato fortunato con le domande della prova che gli erano capitate o che il docente avesse sopravvalutato la sua preparazione e fosse stato “troppo buono”. Tommaso, nome di fantasia, guardava con ammirazione e incredulità i suoi compagni che dopo un buon risultato ad un esame andavano a fare festa o si regalavano qualcosa di desiderato. Tommaso non sentiva mai di meritarselo.

Credere in se stessi e nelle proprie capacità è un processo che per molte persone poco abituate a questo punto di vista può risultare lungo e ricco di insidie.

Le insidie sono tutti quei pensieri che sopraggiungono alle spalle e che suonano più o meno così: “Ma chi ti credi di essere… che vergogna, cosa penseranno gli altri di te? Vola più basso… Hai solo delle vanità”. Voci sentite e ascoltate tante volte, sguardi non ricambiati, rifiuti ricevuti che poco per volta si sono interiorizzati e trasformati in voci che parlano “da dentro”.

Ciò che è possibile fare è provare a indirizzare il pensiero sulle esperienze andate a buon fine e tenerle a mente: 

  • Ti ricordi, quella volta ce l’hai fatta, perché non dovresti provarci adesso?
  • Individuare quegli aspetti del proprio corpo che piacciono e focalizzarsi su di essi piuttosto che sui difetti o ciò che si percepisce come tali. 
  • Pensare alle critiche come a qualcosa che colpisce un comportamento e non la nostra intera persona. 
  • Concentrarsi e rinforzare l’impegno messo piuttosto che il risultato ottenuto e cercare di bilanciare questi due elementi di una impresa. 
  • Riflettere sul perché gli altri dovrebbero avere una cattiva opinione di noi e su che cosa vogliamo trasmettere e comunicare di noi agli altri. 
  • Lavorare sulla propria assertività.

Agire sulla propria autostima è agire sul senso di Sé e sulla propria identità:

per questo è un’operazione impegnativa e lunga da svolgere. E per questo farla da soli a volte è difficile, soprattutto quando si soffre di un’autostima molto scarsa. 

Quando si vuole lavorare sulla propria autostima per migliorarla e sentire quindi maggior benessere, si può decidere di intraprendere un percorso di psicoterapia.

Nel corso di una psicoterapia spesso l’autostima tende infatti a migliorare: perché il paziente sperimenta che, pur avendo mostrato parti di sé spiacevoli e cariche di vergogna, il terapeuta non ha rifuggito la comprensione di queste parti odiate di sé, non le ha minimizzate, non le ha negate. Ciò porta a un senso di possibilità, di accettazione e di integrazione anche di quelle parti non perfette che tutti quanti abbiamo.

 

Foto: Francesca Savino

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