Nuove famiglie, nuovi equilibri

Secondo alcuni studi sociologici, la famiglia ricomposta è, e sarà sempre di più, il nuovo modello famigliare per il XXI secolo.

Ma cos’è una famiglia ricomposta?

Una famiglia è ricomposta quando riunisce in sé più nuclei famigliari, o parti di esso, che hanno origine dalla separazione di due partner che hanno generato figli. Separazione che può avvenire per la decisione di uno, o di entrambi i partner, di mettere fine alla loro unione o per la morte di uno dei due.

La famiglia ricostituita è una nuova forma di comunità da tenere in considerazione e che sempre più incontriamo direttamente o indirettamente nella vita di tutti i giorni e in tutte le realtà che frequentiamo.

Com’è cambiato il concetto d’amore nella società attuale

Ma perché è sempre più frequente che due persone che si sono amate, hanno costituito una famiglia, hanno messo al mondo dei figli, decidano di lasciarsi?
Per ogni storia, le motivazioni sono certamente uniche e differenti, tuttavia si deve considerare che negli ultimi decenni si è assistito a un cambiamento nel modo di concepire l’amore e la coppia.

L’amore che molte coppie oggi vanno cercando è sempre meno l’amore-dedizione che caratterizzava i matrimoni di un tempo e sempre più l’amore-comunicazione, l’amore-scambio. Un tipo di amore, cioè, che deve contribuire in maniera sostanziale alla realizzazione dell’individuo, alla sua crescita psichica, che deve aiutarlo a conoscersi meglio. 

 

Proprio perché l’amore deve servire anche all’individuo per crescere, molte coppie contemporanee non tollerano o sopportano male che esso ponga dei limiti alle libertà personali.
L’amore, nella visione di molte giovani coppie contemporanee, si fonda sull’intimità e sulla fiducia nell’altro, ma deve avere caratteristiche tali da non limitare l’identità di una persona, da non definirla una volta per tutte: deve cioè consentire di essere se stessi e di evolvere. 

“L’autosacrificio, che un tempo sembrava una fondamentale prova d’amore, ora appare sospetto” scrive la sociologa americana Swilder nel 1987, e continua: “Cercare di realizzarsi attraverso i sacrifici che si fanno per gli altri sembra più una forma di parassitismo che di nobiltà. Temiamo le mogli dipendenti e le madri soffocanti e condanniamo l’uomo o la donna che non riescono a far fronte da soli alle proprie necessità. Gli altri possono essere soltanto uno stimolo alla nostra crescita e sviluppo, non una fonte di significato per le nostre vite. Diffidiamo di coloro che non sanno amare da una posizione di forza, nel pieno possesso di sé”. L’amore deve essere libero e consensuale, dunque.  [1987 love and adulthood in American culture].

Il divorzio legale non basta

Quando non c’è più nulla da fare per salvare la coppia e si procede alla separazione, sarebbe sempre opportuno  interpellare un mediatore familiare o un avvocato, che si occupi della mediazione fra le parti e che tenga a mente i bambini e i loro diritti. 

Nel mezzo dello scombussolamento che la fine di un’unione genera, queste figure professionali aiutano le coppie a trovare un accordo sulla gestione domiciliare, temporale ed economica dei figli. Accordo che a volte è difficile trovare da soli, quando si è provati dal dolore e facili prede di rancori e risentimenti reciproci.

Tuttavia, arrivati a un accordo, alla separazione e al divorzio, quello che spesso ci si trova in mano è un foglio di carta che ufficializza la nuova condizione. Ma il vero lavoro, cioè quello di separarsi emotivamente dal proprio partner, non può essere fatto dal magistrato, dal mediatore famigliare e dalla legge, ma dalle persone coinvolte.
Il vero divorzio non è quello legale, ma quello emotivo, ossia il processo che pone fine ai legami psicologici fra le persone o che comunque li trasforma sostanzialmente.

Il divorzio emotivo richiede più tempo di quanto generalmente si pensi, perché i due ex possono viverlo in maniera diversa: uno dei due (in genere quello che lascia) è più autonomo; l’altro può continuare a essere coinvolto, non riuscire ad assorbire quell’esperienza che vive come un fallimento, uno smacco o anche come un imperdonabile affronto. 

Nei casi più difficili può instaurarsi una vera e propria lotta per la sopravvivenza: quello dei due che non si dà pace cerca di trascinare l’altro con sé avvolgendolo nella spirale del proprio risentimento e del proprio dolore con ricatti, dispetti, strumentalizzazione dei figli, vendette; mentre l’altro nel tentativo di liberarsi, può finire per infierire sull’ex coniuge più di quanto non avrebbe voluto.

Soprattutto se il matrimonio è finito per infedeltà, ci possono essere forti rancori e il coniuge tradito può desiderare di vendicarsi e di punire il coniuge infedele. È noto come l’odio possa unire le persone con la stessa forza con cui un tempo le univa l’amore. Questo legame fortemente distruttivo sia per gli adulti che per i figli coinvolti, deve essere spezzato. Se gli adulti non ci riescono da soli è bene che si rivolgano a un mediatore familiare o a un consulente di coppia: “Analizzare il proprio shock d’amore e identificare ciò che non ha funzionato nel rapporto può convertire il dolore in una esperienza di crescita e dotarci di strumenti di analisi e di gestione in grado di arricchire una futura relazione” come scrivono nel 1989 Gullo e Church nel loro articolo “Loveshock”.

L’elaborazione di un lutto

Quando si prende atto dell’irreversibilità della situazione si può vivere un periodo nero di scoraggiamento e di depressione. Ma in un normale processo di lutto a questa fase segue quella dell’accettazione, cosicché anche il coniuge abbandonato incomincia a sentirsi sempre più libero da quei sentimenti che in precedenza non gli consentivano di tollerare la separazione e il cambiamento.

È proprio il superamento del lutto della coppia che consente agli ex di incontrarsi su un piano diverso, non soltanto “per il bene dei figli”, ma anche perché il rapporto si è effettivamente trasformato.

 

“Ti passo un sacco di soldi e mandi in giro i bambini vestiti come degli straccioni!” inveisce Luca al telefono contro Matilde, mamma dei suoi figli e ex moglie. Matilde ora ha due scelte possibili: stare in questo gioco di competizione e di ripicca o togliersene.
Così respira a fondo e poi risponde a Luca: “Mi dispiace che tu pensi questo”. Luca però continua sullo stesso tono. Allora Matilde replica: “Adesso devo andare a mettere a letto i bambini. Ne parliamo domattina”.
Vedendo che Matilde non si arrabbia, Luca rinuncia al litigio.

Per i giochi psicologici di competizione è necessario che vi siano due partecipanti. Se uno dei due non gioca, il gioco finisce.

La stessa cosa vale per Marta e Sergio: Sergio ha lasciato Marta e lei non lo accetta. Di quello che fa il suo ex compagno, nulla sembra andare bene: “Facile adesso che li vedi solo nel fine settimana i tuoi figli! Adesso li porti al parco! Ma prima? Dov’eri prima?! Era tutto sulle mie spalle!”. Sergio potrebbe replicare che lui i bambini al parco li ha sempre portati e che Marta trova sempre un buon motivo per reclamare. Ma invece fa sfogare Marta, poi le dice che non gli fa piacere sentirla così arrabbiata e che comunque ci penserà su, ma che ora va a dormire.

Cambiare il proprio tipo di risposta non è semplice, richiede impegno e esercizio, ma è uno sforzo che vale la pena di fare, sia per se stessi e la propria serenità, sia per quella dei figli.

Prima ricostruire una coppia…

Per poter costruire una seconda famiglia bisogna staccarsi dalla precedente, anche se questo non significa disconoscere il passato.
Per riuscire in questa impresa c’è bisogno di tempo. 

Tempo per guardare dentro di sé , per capire i propri sentimenti e quelli altrui. Tempo per non compiere scelte avventate, dettate dall’ansia, dalla paura o dalla vendetta. 

È preferibile vivere un simile travaglio prima di risposarsi, per non correre il rischio di riversare le proprie insoddisfazioni e frustrazioni sul nuovo partner e sulla nuova famiglia che invece, soprattutto nella fase iniziale, ha bisogno di energie positive e disponibilità.

Sentire di nuovo il cuore battere per qualcuno è una primavera dell’anima e molte speranze si riaccendono. Ma accanto ad esse possono presentarsi anche molte preoccupazioni e alcune paure.

Ci vuole coraggio a immergersi in una nuova relazione, perché bisogna metterci il cuore, il proprio cuore.

E allora è importante che le paure non si trasformino in blocchi, ma che siano dei pensieri da tenere nella nostra mente e che ci aiutino a ragionare su quanto sta accadendo e su quel che sentiamo.

Così diventa importante sperimentarsi all’interno di un nuovo rapporto, scoprendo magari parti nuove di sé e modi nuovi di stare in relazione. E questo è bene farlo senza i figli, propri o dell’altro, perché creare una nuova coppia richiede molte energie e i bambini ne richiederebbero altre ancora.

 

Inoltre i figli sarebbero ulteriori variabili in gioco che aumenterebbero il livello di confusione e renderebbero più difficile comprendere come si sta, cosa piace e cosa no dell’altra persona e dello stare con essa.

Infine, tenendo a mente la prospettiva del futuro, va considerato che se il rapporto fra i partner non funziona, ne risentirà anche il rapporto coi figli, propri o acquisiti. E se i figli percepiscono che la coppia non è stabile, tendono a ritrarsi e a non concedere la fiducia al compagno o alla compagna di mamma e di papà.

Perciò ben vengano i weekend da fidanzatini, le cene romantiche, le gite fuori porta per scoprire se stessi e l’altro e sentire che effetto fa stare in una nuova unione. Ma senza figli, almeno per un po’.

…E poi costruire una famiglia nuova

Dopo mesi di nottate passate a casa del partner e fughe all’alba prima che i bambini si sveglino e solo dopo aver acquisito un buon margine di certezza che la persona incontrata non sia soltanto una buona compagnia di letto, ma qualcosa di più, allora si può pensare alla possibilità di imbastire un nuovo nucleo famigliare. 

La prima cosa da fare è parlarne col partner e sondare il suo pensiero a riguardo. È importante che questa decisione vada presa in due fino in fondo e che entrambi i partner se la sentano di fare questo passo nello stesso momento: non è detto infatti che i tempi collimino.

Se e quando si prende la decisione di coinvolgere i figli nella nuova relazione affettiva, è bene tenere a mente che c’è bisogno di moltissime energie per formare una famiglia mista al meglio delle reciproche possibilità, cercando cioè di creare una comunità in cui tutti i suoi membri stiano bene e si sentano a loro agio.

Gli adulti che decidono di creare una famiglia ricostituita devono fronteggiare simultaneamente tre compiti fondamentali:

  1. gestire la nuova famiglia
  2. costruire la relazione di coppia
  3. continuare a evolvere come individuo

Nella seconda unione, come nella prima, anche le questioni pratiche occupano un ruolo importante: da quelle finanziarie, all’alloggio in cui andare ad abitare, alle cose da comprare e così via. Tuttavia ognuno di questi aspetti ha risvolti psicologici di cui tenere conto perché è proprio sulle “stupidaggini” che si finisce per litigare e non capirsi più.

L’energia da metterci e i passaggi da attraversare

Bisogna tenere a mente che una famiglia ricostituita non è una famiglia tradizionale moltiplicata per due, ma è una famiglia diversa e speciale che ha bisogno di cure specifiche e di tante energie da metterci soprattutto da parte degli adulti. 

Va tenuto conto che i bambini e i ragazzi continuano a sperare che i loro genitori tornino insieme: questo è un loro diritto e il genitore non deve cercare di convincere i suoi figli che è andata meglio così. Il genitore deve accogliere il disappunto, il dispiacere e il dolore dei figli, accettandolo e parlandone. Allo stesso tempo non deve avere timore a dire che ora le carte in tavola sono cambiate e che non si tornerà più indietro, perché quella è la realtà. Così come è reale la presenza di un partner nuovo che è entrato a far parte della vita di mamme e/o papà e che sta per entrare nella vita anche dei ragazzi.

Così quando si organizza di far conoscere i figli con il partner, si può pensare a un incontro in un luogo neutro e quindi né a casa dell’uno né a casa dell’altro: nessuno deve giocare in casa, nessuno deve sentirsi in trasferta. Si può andare, a seconda dell’età dei figli, a un parco divertimenti, a pattinare, a uno spettacolo o a un concerto e poi magari andare a mangiare un panino tutti assieme. Un incontro di 2 o 3 ore al massimo e poi si torna a casa, dove il genitore potrà chiedere ai figli che impressione hanno avuto dell’incontro e come si sono sentiti.

Si tratta di momenti molto delicati ed è importante che il genitore abbia molta attenzione verso i figli e verso i segnali, a volte anche deboli, che lanciano.
Di conseguenza è importante parlarne col partner e confrontarsi sulle reciproche percezioni avute durante l’incontro.
Va tenuto presente che è l’adulto che deve impegnarsi per incontrare i figli dell’altro e cercare con essi un punto di contatto. Senza comprarli o conquistarli, ma cercando piuttosto di conoscerli, in punta di piedi ma senza tirarsi indietro.

E il genitore dovrà cercare di essere particolarmente presente nella vita dei figli durante il periodo di introduzione del partner nel ménage familiare, perché una paura latente dei figli che può emergere è quella di perdere la mamma o il papà che si sono innamorati di un’altra persona.

Come dicevamo prima dunque, il genitore deve prestare attenzione contemporaneamente su ben tre fronti: i figli, il partner, se stesso. Una bella faticaccia, vero?!

Se ci sono poi figli da parte di entrambi i partner, è bene non coltivare l’illusoria speranza che questi si sentano da subito fratelli e parte di una stessa famiglia: bambini e ragazzi, esattamente come gli adulti, hanno le loro simpatie e non è detto che si vada d’amore e d’accordo fin da principio. È necessario che gli adulti facciano da cornice e contenitore dei vissuti dei loro figli che si trovano a condividere prima il tempo e poi magari anche gli spazi con perfetti estranei.

Si va a vivere insieme

I bambini e i ragazzi chiedono di poter crescere tranquillamente nonostante i loro adulti di riferimento, al di fuori cioè dei casini dei loro genitori e di chi gravita loro intorno.
Per questo se si decide di andare a vivere insieme è importante fare una riflessione approfondita sulla casa in cui si andrà a vivere e non scegliere solo sulla base dell’opportunità, della comodità e degli aspetti economici.

Sarà opportuno coinvolgere i figli nella scelta della loro camera, nella divisione degli spazi se la devono condividere con un fratellastro, nell’arredamento che rispecchi sia il loro gusto sia le loro necessità e gliela faccia sentire uno spazio loro e personalizzato.
I traslochi è meglio farli senza bambini, perché non sopportano la vista di scatoloni e imballaggi. E nella casa nuova o ristrutturata è bene portare qualcosa della stanza o dell’appartamento di prima, oltre ad acquistare qualcosa di nuovo.

Una possibilità può essere quella di creare con i bambini il loro albero genealogico fotografico: un quadro insomma che raccolga le foto delle persone care, come mamma e papà, fratelli e sorelle, nonni, zii e poi i membri della famiglia ricostituita come il partner di mamma e papà e gli eventuali altri figli.

Un’altra idea è quella di mettere nell’ingresso di casa una scatola in cui poter inserire un foglietto in cui si esprime un problema, un suggerimento, una richiesta o un complimento per la famiglia. Ogni mese si apre la scatola e si discute insieme di ciò che c’è dentro. Così ognuno può dire la propria e portare un contributo.

Il ruolo del terzo genitore

La figura del partner di mamma e papà, un poco alla volta, non è più solo il partner di mamma e papà. Diventa cioè una figura presente e a volte importante nella vita di bambini e ragazzi, soprattutto se è entrata nelle loro vite fin da piccoli.

È difficile definire queste figure, che certo non trovano giustizia nell’appellativo di matrigna o patrigno, nomi che evocano storie di personaggi dalle cattive intenzioni che vedono i figli dell’altro come un peso, pensiamo ad esempio alla matrigna di Hansel e Gretel o a quella di Biancaneve.
Ma se un nome adeguato ancora non c’è, sempre di più nella vita dei bambini appaiono degli adulti di riferimento che non sono i loro genitori, eppure vivono con loro e condividono la quotidianità: fare i compiti, la cena tutti assieme, i passaggi alle attività sportive e così via.

Chi sono allora queste figure? E che ruolo hanno nella vita dei ragazzi?

Il nuovo partner di mamma e papà è innanzitutto un amico, che non sostituisce il genitore assente, ma fornisce protezione e interessamento aggiuntivi. Si tratta di una amicizia fra persone di età diverse, dove il più grande è un punto di riferimento ed è disposto ad ascoltare, soprattutto se si tratta di ragazzi in adolescenza (ma non solo).

Offrire amicizia è molto meno minaccioso che subentrare nel ruolo di guida o di autorità. Costruendo il proprio ruolo sull’amicizia, il patrigno o la matrigna danno ai figli del partner il tempo di conoscerlo e di accettarlo.

Si tratta di un ruolo in equilibrio fra il rischio di entrare troppo e quello di entrare troppo poco sia nel rapporto con i figli del partner sia nel discutere con il partner stesso delle questioni che riguardano i ragazzi.

Per concludere

Nonostante questo articolo sia molto lungo, non è certamente esaustivo di questo tema, poiché esso è in continuo mutamento, rispecchiando i cambiamenti che la famiglia della società attuale sta attuando.

Suggerisco perciò alcuni spunti di lettura sia per adulti sia per bambini che possono essere di aiuto per approfondire l’argomento.

  • Il terzo genitore, Anna Oliverio Ferraris, Raffaello Cortina Editore
  • Famiglie allargate, R. Mariotti e L. Paternò, Erickson Edizioni
  • Mamma e papà hanno un nuovo compagno B. M. Vicent e G. Citton, Edizioni Red
  • Mille e una famiglia, E. Mauti, Edizioni Erickson
  • Sotto il temporale, M. Mareso, Ed. Gruppo Abele
  • Il libro delle famiglie, T. Parr, Piemme
  • Benvenuti in famiglia, M. Hoffman e R. Asquith, Lo Stampatello

 

Foto: Francesca Savino

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