La ricerca della felicità

È novembre 2020 mentre scrivo e lo faccio da una zona d’Italia decretata “rossa”. Sembrerebbe ci sia poco da stare allegri.
E allora come si fa a parlare di felicità?
Già… In un periodo così duro e pieno di preoccupazioni e tensioni continue, fa davvero specie affrontare il tema della felicità.
Ma forse, proprio in questo momento particolare c’è bisogno di pensare anche alla felicità. C’è bisogno di ritagliarsi qualche spazio, magari anche piccolo, ma di allegria e piacere. Affinché la paura, la rabbia e l’angoscia non saturino tutto lo spazio a disposizione dei nostri cuori e delle nostre menti.

Il World Happiness Report

Recentemente ho letto che la Danimarca vince sovente il premio internazionale del World Happiness Report, posizionandosi fra i primi classificati, pur essendo una nazione che ha una condizione climatica davvero poco favorevole: si pensi che nel mese di dicembre le giornate sono talmente corte che è raro intravedere uno scorcio di sole.

“Chi vive in Danimarca ha la sensazione che le divinità del clima nutrano una certa antipatia per gli abitanti; che vogliano farci sentire infelici e a disagio almeno un mese all’anno.” scrive Meik Wiking, autore del libro Hygge. La via danese alla felicità. Prosegue poi Wiking: “I danesi semplicemente non accettano che la natura influenzi il loro benessere emotivo. Così, invece di andare in letargo – un’opzione in effetti allettante nelle umide mattine di dicembre – hanno deciso di trarre il meglio dalla situazione”.

Credo che in questo momento storico e sociale (ma magari anche in tanti altri momenti che caratterizzano le nostre vite), ci si possa proprio immaginare di essere immersi in un inverno buio, uno di quelli nordici a cui noi italiani non siamo abituati. E sia possibile provare a capire come affrontarlo, senza lasciarci del tutto abbattere e mortificare dal cattivo tempo, cioè, fuor di metafora meteorologica, dalla paura, dalle notizie preoccupanti, dalle incertezze.

E allora parto da una domanda

Che cos’è la felicità? 

Chissà quanti si sono posti almeno una volta nella vita questa domanda, a cui è così complicato rispondere. Forse si potrebbe incominciare dal suo contrario e cioè che cos’è o che cosa produce l’infelicità.
Gli stati d’infelicità e malessere spesso possono derivare dall’attribuzione di troppa importanza a eventi che risultano essere fuori dal proprio controllo.
In questo particolare momento di pandemia da Covid-19 quindi, appare evidente come sia difficile mantenere il buon umore e come si sia facilmente e comprensibilmente preda di ansie, preoccupazioni e vere e proprie angosce.

Il benessere dato dal controllo

Nelle nostre vite un aspetto che spesso è fonte di benessere è la percezione di controllo, cioè sentire che si sta padroneggiando una situazione.

Il benessere e la soddisfazione dipendono non tanto da quanto controllo è oggettivamente possibile esercitare, bensì dal rapporto fra attesa di controllo esercitabile e controllo effettivamente esercitato.
Se teniamo a mente questo processo, appare allora chiaro quanto questa situazione globale, che poi si declina nel locale delle nostre vite di tutti i giorni, abbia un’influenza significativa sul nostro stato d’animo. Perché noi ci aspettiamo e siamo abituati a prenotare un volo aereo con facilità, a organizzare una cena con amici e parenti, ad andare a un concerto o a uno spettacolo teatrale. Ma ora o non lo possiamo più fare oppure non lo possiamo fare con la sicurezza di stare nel giusto, dove per giusto s’intende la riduzione del rischio di contagio.

La situazione del coronavirus e le sue ripercussioni, così come molte altre situazioni che si presentano nelle nostre vite, sono difficilmente controllabili in modo diretto da noi e dal nostro comportamento. Ma ciò che invece possiamo controllare sono le nostre reazioni.
Una citazione che mi sembra possa essere molto utile da tenere a mente soprattutto in questo periodo e che ho già riportato in un articolo che parlava di invecchiamento attivo, è di Tommaso Moro, umanista, scrittore e politico inglese del 1500, e dice:

“Che io possa avere la forza di cambiare le cose che posso cambiare, la pazienza di accettare quelle che non posso cambiare e la saggezza per distinguere la differenza tra le une e le altre”.

Allora su cosa possiamo agire attivamente, non solo in questo periodo, ma nella nostra vita? Possiamo agire sui nostri pensieri, sulle nostre azioni, sui nostri comportamenti e sui nostri atteggiamenti. Con noi stessi e nelle relazioni che intratteniamo con gli altri.

Scrive Martin Seligman, fondatore della psicologia positiva, nel suo La costruzione della felicità“Il nostro cervello si è evoluto in modo che le nostre emozioni negative, quelle che ci dispongono meglio a difenderci, avessero la meglio sulle emozioni positive, foriere di ampliamento e di incremento delle nostre risorse intellettuali e sociali, ma tali da esporci a maggiori pericoli, in quei tempi remoti. Oggi che la nostra sopravvivenza non è altrettanto minacciata se ci lasciamo andare alle emozioni positive, l’unica via per uscire dal deserto emotivo in cui molti di noi si dibattono è cambiare i nostri pensieri […].” 
Come? Allenandoci.

Cor-aggio

Siamo abituati a pensare che la felicità capiti: il colpo di fortuna, la buona sorte, il destino a favore. Certamente esistono situazioni fortuite di cui possiamo godere, ma tante volte sta a noi costruire la nostra felicità, la nostra allegria, la nostra serenità.

La vita dovrebbe essere un’esplorazione di possibilità: la varietà, il cambiamento, la sperimentazione, purché sani, ampliano la mappa del mondo ed è così che diviene possibile conoscersi meglio e essere pronti a catturare gli attimi di felicità.
E se cambiare, esplorare, sperimentare sono azioni che fanno un po’ paura (
“sono cambiamenti solo se spaventano” cantano i Subsonica) può forse venire in aiuto sapere che il coraggio dialoga sempre con la paura: chi è coraggioso non nega la paura, ma ci fa i conti, allontanandosi così dall’essere temerari, cioè audaci senza accortezza.

La paura può essere utile a volte ad accorgersi dove va prestata attenzione e il coraggio significa metterci il cuore (da “cor” che in latino vuol dire cuore, appunto): è allargare le proprie spalle e il proprio petto verso ciò che sta arrivando, non perché si è spavaldi e imprudenti, ma per affrontarlo, per protendersi verso ciò che ci attende senza cedere del tutto alla paura e provando ad aver fiducia in sé.

Esercizi di felicità

Proviamo a riflettere su dove vanno i nostri pensieri ad esempio la sera prima di addormentarci: su un momento bello della giornata, su un desiderio da voler realizzare, su un lavoro che ingaggia particolarmente? O su una frase che ci ha lasciato l’amaro in bocca, su un errore che abbiamo commesso, su una preoccupazione per una persona a noi cara?

Scopriamo così che, anche in un mare di sconforto, è importante provare a concedersi delle isole di pensiero che vadano verso immagini piacevoli e gratificanti, capaci di strappare un sorriso o addirittura una risata.


E ogni qual volta la nostra mente torna nel torbido delle angosce, si può provare a ricondurla verso un evento piacevole vissuto, una bella sensazione provata, una frase che ci abbia scaldato il cuore.

E questo non per negare ciò che fa stare male, ma per provare a far sì che le ombre non offuschino completamente gli spiragli di luce.

Spesso sgridiamo noi stessi e i figli, genitori, partner, amici per cosa non è stato fatto, per ciò in cui si è mancato, per gli errori commessi. Meno di frequente invece rinforziamo noi stessi e le persone a noi care per ciò in cui siamo riusciti. E a volte ancora meno siamo capaci di ringraziare.

Ringraziare

Provare e dimostrare gratitudine verso gli altri ma anche verso se stessi è una capacità e una dote. Essa fortifica i rapporti interpersonali e aumenta la stima di sé.
Vi sono tante persone che non sono capaci di dire un grazie: per vergogna a volte o perché non scorgono motivi di gratitudine.
Si pensi che l’assenza della parola “grazie” (così come del chiedere scusa) è uno dei sintomi di disturbo narcisistico di personalità.

La gratitudine è un esercizio di assertività, ovvero di quella capacità di affermare se stessi nel rispetto dell’altro e va praticata regolarmente per implementarla.
La ricerca di gratitudine e di motivi per cui essere grati permette di allenare la nostra mente a cercare gioia nelle nostre giornate e a concentrarsi quindi sulle cose positive, indipendentemente da quanto grandi o piccole esse siano.
Ringraziare se stessi per ciò che si porta avanti, ad esempio, è un buon esercizio per far acquistare valore alle azioni che intraprendiamo.

Contornarsi di simboli 

Che raccontino ciò che abbiamo raggiunto e ciò che ci fa stare bene è un toccasana per la costruzione della nostra felicità.
Nella propria postazione di lavoro ad esempio, qualsiasi essa sia, si può provare ad arredarla con immagini di persone, animali e luoghi a noi cari o di momenti della nostra vita che sono stati gratificanti (il raggiungimento di una qualifica, la nascita di nostro figlio, il giorno dell’acquisto della casa, il matrimonio, il podio conquistato ad una gara…) e con post-it o simili che riportino frasi e citazioni come fonte di ispirazione, con oggetti insomma che abbiano un valore e un significato affettivo per noi.

Crearsi un posto felice 

È uno dei mattoni importanti per costruire la propria felicità. Se seguiamo il filone della casa, in cui peraltro saremo verosimilmente costretti a stare la maggior parte dell’inverno che è alle porte, la Hygge di cui abbiamo parlato più sopra può tornarci utile: hygge è una parola che ha un mix di origini fra il norvegese e il danese e che si può tradurre, in modo un po’ riduttivo, con benessere.

Hygge come stile di vita

La hygge è un vero e proprio modo e stile di vita che ricerca la comodità, il calore e la felicità nella vita di tutti i giorni. E la casa è il quartier generale della hygge! 

La prima stanza della Hygge nella casa di un danese è la cucina.
I danesi che la praticano come una vera e propria filosofia di vita, suggeriscono di cucinare assieme e di dedicarsi a cotture lente e fatte con le proprie mani: le confetture, le polpette, il pane con il lievito madre, il lievito madre stesso, le torte sono solo alcuni esempi di pietanze da cucinare in compagnia (magari oggi con l’ausilio delle videochiamate) e rigorosamente senza fretta.

In salotto si può stilare una lista di libri e film da leggere e guardare, fra i quali è caldamente consigliato inserire titoli comici che facciano ridere, poiché le risate combattono il cattivo umore. E in salotto ci si può creare uno spazio comodo con una coperta in cui avvolgersi, un piccolo tavolino su cui appoggiare la tazza del caffè o della tisana che si sta bevendo, il computer o magari alcune riviste, l’alimentazione per il cellulare. Tutto deve essere comodo e a portata di mano.

La camera da letto può diventare un luogo in cui ci si sente accolti e che dia spazio alla propria intimità, in solitaria o condivisa.

Il bagno è la zona della casa in cui avere cura del proprio corpo con essenze, vapori e morbide creme.

Musica, candele e piante sono poi elementi irrinunciabili per la propria Hygge!

Cambiare il linguaggio

E la connotazione che si dà a una espressione è un esercizio che richiede un allenamento costante, che può portare alla costruzione della propria felicità attraverso la via dell’accettazione di sé e di una giusta dose di autoindulgenza. Proviamo a fare qualche esempio.
Dire “sono una persona che non piace” significa pensare che in assoluto non si può piacere; dire “A lui/lei non piaccio” relativizza la propria affermazione. “Le diete non funzionano mai” è diverso da dire “Le diete non funzionano quando si mangia fuori casa”. “Sono stupido” è diverso da dire “ Oggi sono un po’ intontito”.

Soppesare la propria vita

Serve a fare il punto della situazione personale in cui ci si trova e a individuare le aree di soddisfazione e quelle da rinforzare.

Così un’attività potrebbe essere quella di compilare un bilancio dell’anno poco dopo Capodanno, riferendosi a quello vecchio. Facendolo ogni anno, si può creare così un raffronto fra un’annata e l’altra.
In una scala da 1 a 10 si può valutare l’anno trascorso negli ambiti della vita che hanno un valore per se stessi e per ciascuno si può scrivere una frase o due che sintetizzino ciò che si prova a riguardo. Un esempio di ambiti da prendere in considerazione sono: amore, figli, lavoro, denaro, tempo libero, amici, salute, creatività, sport, giudizio complessivo. Ma ognuno può decidere quali siano le sue categorie.

Forse siamo arrivati a dare una risposta alla domanda iniziale che ci siamo posti.

La felicità è…

Una vita ben vissuta, in connessione con se stessi e con gli altri, trovando le proprie motivazioni per poterle perseguire. Felicità è avere uno scopo.
Ed è tenere a mente che la vita è adesso: questo ci permette di concentrarsi sul presente, di apprezzare la nostra esistenza, dando peso alle cose che abbiamo piuttosto che a quelle che ci mancano.

Perché come diceva Benjamin Franklin, uno dei padri fondatori degli Stati Uniti d’America:

“La felicità è composta da piccoli piaceri che ricorrono ogni giorno, più che dai grandi colpi di fortuna che capitano di rado”.

Buon allenamento di felicità!

 

Foto: Francesca Savino

Una risposta a “La ricerca della felicità”

  1. Grazie cara Francesca. Dolce e delicata ma incisiva e concreta. Mai come in questo anno, così complicato ma così nuovo, ho quotidianamente parlato di felicità. Le tue parole si aggiungono alle mie scoperte di ogni giorno sullo scopo della vita : essere felici per dare la felicità agli altri. Grazie! Oggi saró ancora un po’ più felice di ieri.

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